domenica 26 gennaio 2014

Le parole che non ti ho detto

ALEXANDRE DUMAS - IL CONTE DI MONTECRISTO



"Per concludere degnamente la nostra conversazione, che sarà l'ultima su queste avventure, signor Bertuccio,"disse il conte con un accento di malinconia che non gli era abituale "ricordate bene le mie parole, che ho sentito spesso pronunciare dal medesimo abate Busoni: "Per tutti i mali ci sono due rimedi, il tempo e il silenzio". Adesso signor Bertuccio, lasciatemi passeggiare un istante nel giardino. Quello che è un'emozione straziante per voi, che siete stato attore in questa scena, sarà per me una sensazione quasi dolce, che raddoppierà il valore della mia proprietà. Vedete, signor Bertuccio, gli alberi piacciono solo perchè fanno ombra, e a sua volta l'ombra piace solo perchè è piena di fantasticherie e visioni. Ecco che ho comprato un giardino, credendo di comprare un semplice recinto chiuso da mura, e niente affatto, di colpo il recinto risulta essere un giardino tutto pieno di fantasmi, che non sono segnati sul contratto. A me piacciono i fantasmi: non ho mai sentito dire che i morti abbiano fatti in seimila anni tanto male quanto ne fanno i vivi in un giorno. Rientrate dunque, signor Bertuccio, e andate a dormire in pace."

"Quello che provava l'estrema abilità dell'intendente, e la profonda sapienza del padrone, l'uno nel servire, l'altro nel farsi servire, era che questa casa, abbandonata da vent'anni, così cupa e triste ancora il giorno prima, tutta impregnata com'era di quell'odore insipido che si potrebbe chiamare l'odore del tempo, aveva assunto in un giorno, assieme alla vita, i profumi preferiti dal padrone, e perfino la gradazione di luce prediletta: il conte arrivando aveva là sottomano i suoi libri e le sue armi, sotto gli occhi i suoi quadri prediletti, nelle anticamere i cani di cui amava le carezze e gli uccelli di cui amava il canto: così tutta la casa, svegliata dal suo lungo sonno come la Bella Addormentata nel bosco, viveva, cantava, sbocciava, simile alle case che abbiamo vezzeggiato a lungo e nelle quali, quando per disgrazia le lasciamo, lasciamo involontariamente una parte del nostro cuore."

"E' proprio questo che mi diverte" disse Montecristo. "Io sono come Nerone, cupitor impossibilium, ed ecco quello che in questo momento diverte anche voi: ecco quello che fa si che questa carne, che forse in realtà vale meno del persico o del salmone, vi sembrerà squisita perchè nella vostra mente era impossibile procurarsela, e invece eccola qui."

"Forse non ci si rende conto delle cose istintive?" disse Montecristo. "Non esistono forse luoghi dove sembra di respirare naturalmente la tristezza? Perchè? Non ne sappiamo niente, ma per una concatenazione di ricordi, per un capriccio del pensiero che ci riporta ad altri tempi e altri luoghi che forse non hanno nessun rapporto coi tempi e i luoghi in cui ci troviamo. [...]
Abbiamo già detto che il conte, fosse prestigio artificiale o naturale, attirava l'attenzione dovunque si presentasse: ad attirare l'attenzione non era l'abito nero, di taglio impeccabile, è vero, ma semplice e senza decorazioni; non il gilet bianco, senza nessun ricamo, nè erano i pantaloni che racchiudevano un piede dalla forma più delicata: erano invece il colorito opaco, i capelli neri ondulati, il viso calmo e puro, lo sguardo profondo e malinconico e infine la bocca disegnata con meravigliosa fierezza, che prendeva facilmente un'espressione di disprezzo altero, che facevano si che tutti gli occhi si fissassero su di lui.
Potevano esserci degli uomini più belli, ma di certo non c'erano di più significativi, se ci è concessa questa espressione: tutto nel conte voleva dire qualcosa e aveva il suo valore, perchè l'abitudine del pensiero utile aveva conferito ai suoi tratti, all'espressione del viso e al più insignificante dei gesti una scioltezza e una fermezza incomparabili.
E poi il nostro mondo parigino è così strano che a tutto questo non si sarebbe probabilmente fatto attenzione se sotto tutto questo non ci fosse stata una storia misteriosa, impreziosita da un'immensa fortuna.

In ogni cervello ben organizzato, l'idea dominante, e ce n'è sempre una, l'idea dominante, dicevamo, è quella che, dopo essersi addormentata per ultima, illumina per prima il risveglio del pensiero.